Per la Cassazione è bastata una latitanza di due giorni lontano da casa per addebitare la separazione al coniuge che aveva abbandonato il tetto coniugale. E’ questa la vicenda che si è verificata a Sassari, dove M.N., moglie nullatenente, dopo vent’anni di matrimonio e due figli si è vista addebitare la separazione per essersi allontanata per 48 ore, fuggendo forse dalle tensioni familiari che si erano create.
Con l’ordinanza n. 509/2020, la Suprema Corte, confermando la decisione del Tribunale di Sassari del 2015 e quella dei Giudici di Appello del 2018, ha considerato la donna “colpevole” a motivo dell’abbandono della residenza familiare, ritenuto “impossibile da giustificare”.
E’ necessario infatti specificare che tale allontanamento, in quanto non preceduto da alcun tipo di “pressione minaccia o violenza da parte del marito nei confronti della moglie”, sia stato valutato come una “decisione unilaterale” di quest’ultima, idonea a porre fine alla relazione coniugale. Nessun rilievo per la considerazione che non si trattasse di una fuga dovuta ad una relazione extra-coniugale e per la volontà espressa dalla donna di tornare poi al vecchio manage familiare, contrariamente invece al volere del marito, il quale durante la latitanza aveva già provveduto al cambio della serratura.
In conclusione, la donna si è ritrovata dunque a vivere con la madre e i due figli che l’hanno seguita, ricevendo dal marito solo una somma pari a 300 euro mensili a favore del figlio maggiorenne ancora non autosufficiente, con l’addebito della separazione a suo carico, così come confermato dalla Cassazione, e priva del diritto alla casa e all’assegno familiare.
T.A.