1. Premessa
Quasi quotidianamente ci troviamo ad affrontare, nell’esercizio della nostra attività professionale, impugnazioni di provvedimenti disciplinari irrogati dalla pubblica amministrazione nei confronti di militari. Ma quando davvero una sanzione disciplinare può essere contestata con successo? In quali casi e con quali limiti il giudice amministrativo, una volta infruttuosamente esperito il ricorso gerarchico, può accogliere un ricorso proposto contro simili atti?
Cerchiamo di offrire una risposta a questi interrogativi.
2. Il punto di partenza: il potere discrezionale della pubblica amministrazione
Il dato di partenza si sostanzia nella constatazione del fatto che la pubblica amministrazione gode, anche in materia di sanzioni disciplinari, di un’ampia discrezionalità.
Nella recentissima Cons. Stato, Sez. II, 21 marzo 2022, n. 2001, si legge al riguardo, a conferma di quanto si va dicendo, che “È pacifico in giurisprudenza che le valutazioni degli organi deputati dell’amministrazione in sede di procedimento disciplinare sono connotate da ampia discrezionalità, anche in ordine alla rilevanza del comportamento ai fini della irrogazione di una determinata sanzione, in quanto la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare costituisce espressione di discrezionalità amministrativa”.
Spetta all’Amministrazione, in altri termini, valutare i fatti per stabilire se e in quale misura l’interessato sia passibile di sanzione. E che la discrezionalità di cui gode la p.a. in materia sia rilevante è un dato ormai costantemente sancito nella giurisprudenza consolidata (si vedano, tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 18 febbraio 2016, n. 652; Cons. Stato, Sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1452; Cons. Stato, Sez. IV, 31 ottobre 2012, n. 5582).
La stessa giurisprudenza, del resto, ha ribadito che “spetta all’amministrazione in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità, disponendo essa di un ampio potere discrezionale nell’apprezzare autonomamente le varie ipotesi disciplinari” (Cons. Stato, Sez. II, 23 novembre 2020, n. 7336; Cons. Stato, Sez. II, 8 ottobre 2020, n. 5969, Cons. Stato, Sez. II, 15 maggio 2020, n. 3112).
3. I limiti del sindacato giurisdizionale in tema di sanzioni disciplinari
Tanto considerato sull’ampiezza e sulla rilevanza del potere discrezionale di cui è titolare la pubblica amministrazione in tema di sanzioni disciplinari, da ciò consegue in tutta evidenza che il sindacato giurisdizionale in materia risulti assai limitato e circoscritto.
È ovvio, anzitutto, che la commissione di disciplina (o comunque qualsivoglia organo che sia titolare del potere disciplinare) “esprime un giudizio non sindacabile nel merito”: il giudice amministrativo, in altri termini, non può pronunciarsi sulla opportunità o sulla convenienza o meno del provvedimento, ma solo sulla sua legittimità (Cons. Stato, Sez. IV, 4 ottobre 2018, n. 5700; Cons. Stato, Sez. II, 15 maggio 2020, n. 3112). Il controllo operato in sede processuale si limita pertanto alla verifica del rispetto, da parte dell’Amministrazione procedente, dei c.d. limiti esterni della discrezionalità amministrativa.
Ne consegue che l’esercizio del potere disciplinare risulta sindacabile in sede processuale esclusivamente “in ipotesi di manifesta illogicità e irragionevolezza, evidente sproporzionalità e travisamento dei fatti” (Cons. Stato, Sez. IV, 28 ottobre 2019, n. 7335; Cons. Stato, Sez. IV, sez. IV, 22 marzo 2017, n. 1302; Cons. Stato, Sez. III, 31 maggio 2019, n. 3652). Oltre a ciò, resta ovviamente fermo il potere del giudice di verificare il rispetto, da parte dell’organo titolare del potere disciplinare, di tutti i termini e gli adempimenti che scandiscono il relativo procedimento.
Così, solo a titolo esemplificativo, “per giurisprudenza costante, (…) nei confronti di un militare ogni sanzione disciplinare deve essere preceduta dalla contestazione degli addebiti che deve essere precisa e congrua per quanto riguarda i tempi e le modalità di svolgimento del procedimento disciplinare, in assenza della quale il provvedimento disciplinare deve ritenersi illegittimo” (ex multis, cfr. T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 5 ottobre 2009, n. 9734).
E ancora, potrà vagliarsi del pari il termine entro il quale è possibile avviare il procedimento sanzionatorio passando dagli accertamenti preliminari alla notifica della contestazione degli addebiti all’incolpato, che fissa l’inizio del procedimento (T.A.R. Friuli – Venezia Giulia, 26 maggio 2003, n. 188).
4. Conclusioni
A conclusione di questa breve disamina della materia dei limiti imposti al giudice nel sindacato di legittimità sui provvedimenti disciplinari, sembra necessario evidenziare almeno due dati.
In primo luogo e preliminarmente, giova ribadire (e la questione costituirà l’oggetto di un distinto, specifico contributo) che il giudice potrà conoscere della legittimità di un provvedimento disciplinare solo all’esito (evidentemente negativo) dell’esperimento di un ricorso gerarchico. Il profilo è confermato, tra l’altro, con specifico riguardo alle sanzioni di corpo, dall’art. 1363, comma 2, del Codice dell’Ordinamento Militare, d.lgs n. 66/2010, a mente del quale “avverso le sanzioni disciplinari di corpo non è ammesso ricorso giurisdizionale o ricorso straordinario al Presidente della Repubblica se prima non è stato esperito ricorso gerarchico o sono trascorsi novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso”. La giurisprudenza, peraltro, ritiene il principio applicabile in via generale, e dunque anche con riferimento alle sanzioni di stato.
In secondo luogo e buon ultimo, fermo restando quanto sopra, una volta maturate le condizioni per la valida e ammissibile instaurazione di un giudizio amministrativo – e si badi bene che il ricorrente non potrà proporre in sede giudiziale motivi di doglianza ulteriori e distinti da quelle già formulati in via amministrativa, con la conseguente evidente necessità di farsi assistere, se del caso, già in sede di ricorso gerarchico –, il sindacato del giudice, evidentemente circoscritto ai soli vizi di legittimità, risulterà ulteriormente limitato al vaglio di violazioni abnormi, essenzialmente riferite, oltre che alla mancata osservanza di termini e profili procedurali, ad ipotesi di manifesta irragionevolezza ed illogicità dell’atto, nonché alla verifica del rispetto del principio di necessaria proporzionalità tra la violazione asseritamente commessa e la sanzione in concreto irrogata.