Gli avvenimenti più recenti, legati al clamore mediatico e politico seguito alla pubblicazione del libro “Il mondo al contrario”, del Gen. Roberto Vannacci, ripropongono all’attenzione collettiva, tanto degli operatori del diritto quanto dei semplici cittadini che vogliano comprendere i reali termini della questione, il tema da sempre dibattuto della libertà di manifestazione del pensiero nell’ambito dell’ordinamento militare, delle sue modalità di legittima estrinsecazione e dei limiti connaturati alla specialità del diritto militare e dello status di militare.
In questa sede si tratterà in via generale l’argomento, vagliandone i riferimenti normativi e gli ultimi arresti della giurisprudenza amministrativa. Procediamo dunque con ordine.
1. Le norme di riferimento
Quanto anzitutto alla cornice normativa di riferimento, non può non citarsi anzitutto il riconoscimento costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero, contenuto all’art. 21 Cost., a mente del quale “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
A livello sovranazionale, poi, vengono in gioco, tra l’altro:
– l’art. 19, comma 1, della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, in base al quale “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”;
– l’art. 11, comma 1, della Carta diritti fondamentali dell’UE, secondo cui “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”;
– l’art. 10, comma 1, della Convenzione EDU, in cui si legge che “Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”.
Per quanto concerne specificatamente l’ordinamento militare, l’art. 21 Cost. trova la sua puntuale attuazione nell’art. 1472 del C.O.M. – Codice dell’Ordinamento Militare, d.lgs n. 66/2010, in cui si stabilisce a chiare lettere che “I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione”. Tale disposizione è poi specificata nell’art. 722 del Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare – d.P.R. n. 90/2010, che precisa che “Il militare, oltre a osservare scrupolosamente le norme in materia di tutela del segreto, deve: a) acquisire e mantenere l’abitudine al riserbo su argomenti o notizie la cui divulgazione può recare pregiudizio alla sicurezza dello Stato, escludendo dalle conversazioni private, anche se hanno luogo con familiari, qualsiasi riferimento ai suddetti argomenti o notizie; b) evitare la divulgazione di notizie attinenti al servizio che, anche se insignificanti, possono costituire materiale informativo”.
Dalla lettura testuale delle suddette disposizioni normative si evince dunque che il militare, quale cittadino italiano (ed europeo), e prima ancora in quanto persona in sé e per sé considerata, ha il pieno e sacrosanto diritto di manifestare il proprio pensiero. La specificità della sua natura di soggetto inserito in un ordinamento peculiare, come quello della Difesa, impone, sì, alcune limitazioni all’esercizio della suddetta libertà, ma che devono rigorosamente giustificarsi, in modo conforme al suddetto dettato normativo, in ragione dell’attinenza ad argomenti da considerarsi di carattere riservato, in quanto di interesse militare o di servizio. E peraltro, anche con riguardo a questi ultimi profili, a ben vedere, neppure si esclude del tutto la possibilità per il militare di manifestare il proprio pensiero, ma la si subordina semmai ad una previa autorizzazione.
2. I più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia
Ciò posto quanto alle disposizioni rilevanti sul tema, vediamo ora come ne sta facendo concretamente applicazione la giurisprudenza.
L’orientamento assolutamente prevalente fa proprio l’assunto sopra citato, non potendo che dare atto del riconoscimento normativo della libertà di manifestazione del pensiero anche in capo ai militari e consentendone le limitazioni nei soli casi tassativamente previsti dalla legge.
Con riguardo alle pronunce più recenti, viene in rilievo ad esempio T.A.R. Piemonte, Sez. I, 10 ottobre 2022, n. 839, in cui si è fatta questione di una campagna mediatica condotta da un maresciallo dell’Esercito allo scopo di denunziare l’eccessivo numero di suicidi nel comparto Difesa. Vi si legge in proposito che “le affermazioni del (…) ricorrente s[o]no espressioni del diritto di manifestazionedelpensiero tutelato dall’art. 21 della Costituzione e dall’art. 1472 dell’ordinamento militare che ne costituisce l’attuazione; nel caso di specie, infatti, non si tratta di argomenti di carattere riservato militare o di servizio, e nemmeno di un’espressione di una domanda interna all’ordinamento che deve trovare sviluppo nella catena gerarchica, ma di una serie di osservazioni del tutto esterne a fatti strettamente di servizio”.
In Cons. Stato, Sez. II, 6 giugno 2023, n. 5566, che ha confermato la suddetta sentenza di prime cure, che aveva annullato il provvedimento sanzionatorio di perdita del grado per rimozione impugnato, si offre una ancor più ampia e articolata disamina della materia che ci occupa.
Tale pronuncia, peraltro assai recente e densa di richiami a sentenze precedenti, può dunque essere presa a riferimento per sondare lo stato dell’arte dell’applicazione pretoria delle suddette norme.
Vi si afferma tra l’altro che:
1) anche al militare, in quanto cittadino, va riconosciuta la libertà di manifestazione del pensiero: “negli ordinamenti liberali – al novero dei quali quello italiano va ascritto, quantomeno in ragione della sua adesione alle testé evocate organizzazioni e convenzioni internazionali – in linea di principio non è vietato al cittadino avere opinioni personali di qualsiasi contenuto, anche dissonante dai principi costituzionali fondanti, né esprimerle”;
2) tale libertà è soggetta, nel caso del militare, a specifici limiti: “neppure v’è dubbio, d’altra parte, che più stringenti limiti, anche in punto di espressione di tali opinioni, possano essere imposti ai militari in servizio e ad alcune categorie di pubblici funzionari (arg. ex art. 98, terzo comma, Cost.); sicché tale oggettiva ed astratta riconducibilità della condotta del militare all’evocato principio fondamentale non vale ex se ad escludere la possibile rilevanza disciplinare della stessa, in considerazione dei limiti che il suo perimetro applicativo sopporta.
La Corte costituzionale ne ha, infatti, rimarcato, con numerose pronunce, i confini, a tutela, ad esempio, della sicurezza dello Stato,“riferita alla tutela della esistenza, della integrità, della unità, della indipendenza, della pace e della difesa militare e civile dello Stato” (sent. n. 25 del 1965) ovvero del prestigio del Governo, dell’ordine giudiziario e delle forze armate (sent. n. 20 del 1974). La stessa Corte di Cassazione ha riconosciuto che viene in considerazione un diritto che “non può essere considerato senza limiti” (Cass. civ., sez. III, 5 novembre 2018, n. 28084)”;
3) la valutazione del rispetto dei suddetti limiti è rimessa all’Amministrazione militare, che deve motivare adeguatamente sul punto, come pure di conseguenza in ordine all’adozione di eventuali sanzioni disciplinari, con una discrezionalità rispetto alla quale il sindacato del giudice non può spingersi sino al punto di sovrapporre e sostituire la determinazione della p.a. procedente: “la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all’Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2629)”;
4) nondimeno, il giudice può sindacare, tenendo conto della specificità del caso concreto, il rispetto dei limiti interni ed esterni all’esercizio del potere amministrativo discrezionale e l’obbligo motivazionale della sanzione (e il correlato esame giudiziale) tanto più sono pregnanti, quanto più è grave la sanzione se del caso comminata: “L’incidenza esiziale della sanzione espulsiva irrogata implementa tuttavia l’intensità del sindacato di questo giudice potendosi verificare, sia pure secondo criteri di immediata evidenza, la sussistenza di fatti dotati di assoluta gravità come tali idonei a costituirne idonea giustificazione. (…)Ne consegue che il comportamento del -OMISSIS- pur in linea teorica riconducibile alla libertà di manifestazionedelpensiero di conio costituzionale, non appare scevra da possibili riflessi disciplinari, sia pure di gravità non tale da giustificare la sanzione irrogata, in ragione delle espressioni utilizzate in quanto potenzialmente idonee a minare indebitamente, in assenza di precisi riscontri, il clima di fiducia che deve accompagnare l’operato di una Istituzione militare nelle sue articolazioni gerarchiche”.
A simili conclusioni il Consiglio di Stato, Sezione II, era giunto nella precedente sentenza n. 1905 del 16 marzo 2022, con la quale si era annullato il provvedimento di perdita del grado per rimozione inflitto ad un appuntato dei Carabinieri per dichiarazioni ritenute di stampo razzista e fascista, rilasciate ad un giornalista.
Considerazioni analoghe sono state poi ribadite da ultimo in T.A.R. Sicilia – Palermo, Sez. I, 4 luglio 2023, n. 2233, in cui si è fatta questione di commenti che si ritenevano inopportuni, pubblicati sul proprio profilo Facebook da un Carabiniere, Comandante di Stazione capoluogo, a proposito di personaggi politici e magistrati.
Con riguardo ad un caso recente in cui il giudice ha ritenuto necessaria la preventiva autorizzazione gerarchica, riguardando specificamente la materia trattata l’interesse militare o di servizio, si veda infine T.A.R. Campania – Sez. staccata di Salerno, 2 marzo 2023, n. 491.
Conclusioni
Il quadro normativo e giurisprudenziale sopra delineato consente di evidenziare le seguenti conclusioni:
– va riconosciuta al militare la stessa libertà di manifestazione del pensiero che connota ogni cittadino;
– tale libertà incontra un unico, specifico limite (superabile previa autorizzazione) nei soli casi in cui si faccia questione di temi da ritenersi riservati, in quanto di interesse militare o di servizio;
– ogni limitazione all’esercizio della libertà in questione da parte del militare deve essere puntualmente giustificata dall’Amministrazione, come pure ogni eventuale sanzione disciplinare che si ritenga di applicare allo stesso nel caso in cui i suddetti limiti debbano ritenersi travalicati, potendo poi il giudice sindacare l’esercizio della suddetta discrezionalità nei termini succitati.
In definitiva e in conclusione, se ne ricava pertanto che, ferma la necessità di una verifica caso per caso, che valorizzi le peculiarità della singola situazione contingente, qualsiasi ipotesi, commento o valutazione che si voglia formulare in relazione alla vicenda in questione, e dunque anche da ultimo con riguardo all’affaire Vannacci, non può prescindere in alcun modo dalle suddette coordinate fondamentali, a pena di esulare fatalmente dal contesto giuridico di riferimento, così come tratteggiato a livello sovranazionale, costituzionale, normativo e giurisprudenziale.
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