Il rilascio e la conservazione della titolarità del porto d’armi vanno com’è noto soggetti a plurimi, rigorosi accertamenti, che prendono in considerazione, tra l’altro, la personalità del richiedente, i suoi precedenti penali e financo quelli dei suoi conviventi.
Troppo spesso, tuttavia, i provvedimenti di diniego ed in particolare di revoca soffrono in materia di eccessiva rigidità, e finiscono col rivelarsi palesemente illegittimi.
Una breve e sintetica rassegna di casi giurisprudenziali recenti, in cui la contrarietà a legge dell’atto è stata acclarata dall’Autorità giudiziaria, potrà essere d’aiuto a chi si trovi a fronteggiare determinazioni di tal fatta.
La revoca, anzitutto, dev’essere adeguatamente motivata. In T.A.R. Campania – Napoli, n. 760/2017, così, si è ritenuto illegittimo il provvedimento di revoca impugnato, in quanto non conteneva una valutazione specifica della personalità dell’interessato. Del resto, il pericolo nell’utilizzo delle armi deve sussistere in concreto e non in astratto, e la valutazione circa l’affidabilità del soggetto coinvolto non può essere compiuta che analizzando puntualmente la situazione particolare oggetto di verifica.
La revoca del porto d’armi, per essere adeguatamente motivata, deve indicare specificamente il mutamento delle condizioni che ne avevano consentito il rilascio. E’ quanto precisato di recente anche dal T.A.R. Molise, n. 10/2018, in cui si precisa al riguardo che “l’Amministrazione ha preso in esame gli stessi fatti che l’avevano indotta, negli anni precedenti, a concedere la licenza, esprimendo tuttavia una valutazione opposta. Non sono spiegate le ragioni del capovolgimento della decisione finale, pur in presenza di una stessa, identica situazione”.
L’istruttoria dev’essere completa e partecipata, così da consentire all’interessato di esporre le proprie ragioni, depositando memorie e documenti. In Cons. Stato, Sez. III, 5.2.2015, n. 575, ad esempio, si è annullata la revoca disposta sul solo presupposto di un unico precedente penale, costituito da un singolo episodio di guida in stato di ebbrezza, ex art. 186, c. 1, C.d.S., cui peraltro erano seguiti esami ematici del tutto nella norma.
La revoca ex art. 43, c. 2, TULPS, ancora, deve rispettare tutti i principi che costituiscono limite negativo della discrezionalità amministrativa. Tra questi figura senz’altro quello di proporzionalità (o del “minor sacrificio”, secondo l’insegnamento di M.S. Giannini), secondo il quale la p.a., nel perseguimento in concreto dell’interesse pubblico, non può pregiudicare gli interessi giuridicamente rilevanti dei cittadini in misura maggiore di quella strettamente necessaria allo svolgimento di tale funzione ed al conseguimento di tale obiettivo. Così, ad esempio, è stato ritenuto illegittimo per violazione del suddetto principio il provvedimento di revoca del porto d’armi disposto nei confronti di un cacciatore che durante una battuta aveva provocato accidentalmente lesioni lievi ad un compagno di caccia (Cons. Stato, Sez. III – 14 marzo 2014 n. 1303). Come pure, in applicazione dello stesso principio, in T.A.R. Emilia Romagna, n. 445/2015 si è considerata illegittima la revoca seguita ad una mera lite occasionale in famiglia, alla quale era peraltro seguita una rappacificazione senza che vi fossero strascichi di querela.
Ciò posto, nel caso in cui si venga fatti destinatari di un provvedimento di diniego o di revoca del porto d’armi, sarà bene affidarsi a professionisti competenti nel settore specifico del diritto delle armi.