Con l’ordinanza 17 luglio 2018, n. 18869, la Sesta Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che “il coniuge, in sede di separazione, vanta il diritto a ricevere la metà delle somme prelevate dal marito da un conto corrente cointestato, essendo tali le somme comuni ab origine e comunque soggette al regime della comunione de residuo. Ai fini dell’esclusione del diritto, grava infatti sull’altro coniuge l’onere di fornire la prova della provenienza delle somme prelevate, dalla sua attività professionale e amatoriale, nonché l’avvenuta destinazione delle medesime ad esigenze familiari“.
In buona sostanza, la Cassazione riproduce qui, contestualizzandolo in materia di separazione personale dei coniugi, un principio di diritto in realtà assolutamente generale e che come tale si applica a qualsiasi ipotesi di conto corrente cointestato: quello della presunzione relativa di comproprietà delle somme depositate presso (o prelevate da) un conto corrente in capo ai singoli cointestatari.
Trattasi, come bene evidenzia la pronuncia sopra riportata, di una presunzione – appunto – relativa, cioè che ben può essere superata dall’interessato con la prova della titolarità esclusiva (o comunque, in misura diversa e maggiore della metà) delle suddette somme, prova da ritenersi soddisfatta con la dimostrazione della loro provenienza, ad esempio, da redditi unicamente personali (professionali, da rendite immobiliari o finanziarie), od ancora dalla vendita di un bene in proprietà esclusiva.