Al fine di proporre una impugnazione ammissibile innanzi agli organi della Giustizia amministrativa, occorre che il ricorrente, tra l’altro, sia titolare di un interesse a ricorrere.
L’interesse a ricorrere rappresenta, in altri termini, una delle condizioni dell’azione di annullamento nel processo amministrativo. Ad esso si aggiungono, infatti, la titolarità di una posizione soggettiva qualificata e differenziata in capo al ricorrente (che lo distingue dal quisque de populo rispetto all’esercizio specifico del potere amministrativo), e la legittimazione a ricorrere, vale a dire la titolarità del potere di azionare in giudizio il rapporto di cui il soggetto si afferma titolare. Sul punto, anche da ultimo, si veda ad esempio Cons. Stato, sez. IV, 19 luglio 2017, n. 3563 (conferma T.A.R. Toscana, sez. III, 10 febbraio 2016, n. 222).
Esso va identificato, dunque, a norma dell’art. 100 c.p.c., nella concreta possibilità di conseguire un bene della vita, anche di natura non patrimoniale, attraverso il processo, a seguito di una lesione diretta ed attuale di un interesse meritevole di tutela.
Ora, nella materia specifica degli appalti pubblici, ribadita la necessaria sussistenza di un interesse a ricorrere in capo al ricorrente, la giurisprudenza degli ultimi anni ha operato una importante precisazione. L’interesse a ricorrere (e dunque l’utilità che il ricorrente spera di ricavare dall’annullamento degli atti impugnati) non deve identificarsi necessariamente nell’aggiudicazione dell’appalto. Esso infatti può ben coincidere nel semplice interesse alla rinnovazione della gara.
Lo ha ribadito da ultimo il Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza 1° luglio 2019, n. 4487.