Come è noto, l’istituto del ricongiungimento familiare consente al pubblico dipendente coniugato (o, come si vedrà, anche soltanto convivente), con prole di età pari od inferiore a tre anni, di chiedere di essere trasferito temporaneamente (e comunque per un periodo non superiore a tre anni) nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa.
Il suddetto istituto si applica anche in ambito militare? In caso positivo, con quali specificità?
Il tema merita di certo di essere affrontato per fornire chiarimenti utili agli interessati, specie in considerazione della sua innegabile rilevanza pratica.
1.Il quadro normativo di riferimento
Per fornire risposta al nostro interrogativo è necessario fare riferimento alle disposizioni normative che regolano il ricongiungimento familiare nel nostro ordinamento.
Occorre guardare in proposito al d.lgs. n. 151/2001, “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8.3.2000, n. 53”. Il suddetto decreto disciplina all’art.42-bis la “assegnazione temporanea dei lavoratori dipendenti alle amministrazioni pubbliche”. Si stabilisce al riguardo che “il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione”. E si aggiunge altresì che “L’eventuale dissenso deve essere motivato. L’assenso o il dissenso devono essere comunicati all’interessato entro trenta giorni dalla domanda”.
A ben vedere, la suddetta disposizione non riguarda tuttavia di per sé i militari, ma il personale delle pubbliche amministrazioni “di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, vale a dire i dipendenti pubblici sottoposti a regime c.d. “privatizzato” all’esito della riforma introdotta con il d.lgs n. 23/1993, tra i quali non rientra, per espresso disposto dell’art. 3, comma 1, del medesimo d.lgs n. 165/2001, il “personale militare e delle Forze di polizia di Stato”.
Viene allora in rilievo l’art. 1493 del Codice dell’Ordinamento Militare, d.lgs n. 66/2010, il quale prevede espressamente che “Al personale militare femminile e maschile si applica, tenendo conto del particolare stato rivestito, la normativa vigente per il personale delle pubbliche amministrazioni in materia di maternità e paternità”.
2. La risposta al nostro interrogativo (e alcune precisazioni)
L’art. 1493 c.o.m. appena citato offre dunque già di per sé la risposta al quesito che ci eravamo posti inizialmente: in virtù del richiamo in esso previsto, l’intera normativa vigente in materia di tutela della maternità e della paternità deve ritenersi applicabile anche ai militari, e con essa anche lo specifico istituto del ricongiungimento familiare.
Sono necessarie però alcune precisazioni.
- L’inciso “tenendo conto del particolare stato rivestito”, contenuto nella suddetta disposizione, è stato inteso dalla giurisprudenza nel senso dell’attribuzione all’Amministrazione Militare “di un peculiare potere valutativo da esercitare caso per caso e tenuto conto delle complessive esigenze degli uffici” (in questo senso, Cons. Stato, Sez. VI, 21 maggio 2013, n. 2730). In buona sostanza, se da un lato il ricongiungimento familiare si applica anche ai militari, dall’altro, il loro particolare status (e soprattutto le specifiche funzioni che la p.a. di appartenenza è chiamata a svolgere) legittima il riconoscimento in capo agli uffici competenti di margini di discrezionalità più ampi, a tutela delle esigenze del Comando di appartenenza.
- Quanto alle condizioni che devono sussistere in ordine all’accoglimento dell’istanza, invece, la posizione dei militari non si discosta da quella degli altri dipendenti pubblici. In particolare, è necessario che:
– il militare interessato sia genitore di un figlio minore, di età non superiore a tre anni;
– vi sia un posto vacante presso la sede di destinazione, di corrispondente posizione retributiva;
– vi sia l’assenso delle amministrazioni di provenienza e di destinazione.
- Non costituisce invece condizione indefettibile per l’accesso al beneficio che il militare abbia contratto matrimonio. Il ricongiungimento familiare infatti opera anche in caso di mera convivenza more uxorio, senza preclusioni di sorta ed in assoluta parità rispetto all’ipotesi in cui sussista un rapporto di coniugio. Del resto, seguendo e consolidando l’indirizzo già delineato dalla Corte Costituzionale (ad esempio, con C. Cost., 15 aprile 2010, n. 138) in tema di equiparazione del trattamento giuridico tra la famiglia fondata sul matrimonio e la famiglia di fatto, oltre che dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, e prima ancora dalla Corte di Strasburgo, sul presupposto dell’art. 8, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali – CEDU (ad esempio, nel caso Kroon, 27 ottobre 1994), il nostro legislatore, con la legge 20 maggio 2016, n. 76, ha ormai equiparato il convivente more uxorio al coniuge sotto molteplici profili (tra l’altro, in relazione all’assistenza ospedaliera, ai poteri di rappresentanza conferibili in caso di malattia e incapacità di intendere e di volere, nonché a proposito del subentro nel contratto di locazione della casa di residenza intestato al convivente deceduto).
È chiaro dunque che l’istituto del ricongiungimento familiare non possa di certo fare eccezione, dovendo trovare applicazione dunque anche nel caso di mera convivenza di fatto. La stessa giurisprudenza amministrativa degli ultimi anni lo ha più volte ribadito (si veda, da ultimo, T.A.R. Calabria – Reggio Calabria, 10 maggio 2019, n. 321).
3. Gli orientamenti rilevanti della giurisprudenza sul tema
Ciò posto, i profili di maggiore problematicità nell’applicazione dell’istituto in commento sono sostanzialmente due.
- Il primo concerne il requisito della sussistenza di un posto vacante di corrispondente posizione retributiva (in buona sostanza, di pari grado) presso la sede in cui si domanda di essere (temporaneamente) trasferiti. In particolare, a tale proposito, è possibile per il militare interessato ottenere l’accesso alle piante organiche del Comando di destinazione e soprattutto di appartenenza (allo scopo di dimostrare che l’eventuale accoglimento della domanda di ricongiungimento non sarebbe idoneo ad arrecare pregiudizio alcuno, non registrandosi alcuna situazione di carenza di organico)?
L’orientamento pretorio prevalente è di segno positivo. È vero infatti che gli artt. 1048 e 1049 del d.p.r. n. 90/2010, nell’individuare, quanto all’amministrazione militare, gli atti ed i documenti amministrativi che sono sottratti all’accesso, fa menzione anche di quelli che contengono informazioni in materia di “struttura ordinativa e dotazioni organiche di personale, mezzi, armamento, e munizionamento tecnico”. Tuttavia, i Giudici amministrativi hanno ritenuto prevalente rispetto all’interesse alla riservatezza di questi documenti quanto disposto dall’art. 24, comma 7, della legge 7 agosto 1990, n. 241, a mente del quale “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”. Qualora dunque l’istanza di accesso ad atti di tale contenuto sia preordinata ad un ricongiungimento familiare, non vi può essere dubbio alcuno sulla strumentalità della suddetta istanza rispetto a quelle finalità difensive che la suddetta norma intende tutelare (in questo senso, si veda, tra l’altro, T.A.R. Lombardia – Milano 5 settembre 2013, n. 2105).
- Il secondo filone giurisprudenziale che ha assunto massimo rilievo in punto di istanze di ricongiungimento familiare è quello della necessaria adeguata motivazione del provvedimento di diniego.
Come si accennava in precedenza, infatti, in ambito militare è riconosciuta all’amministrazione in materia di ricongiungimento familiare una discrezionalità assai più ampia rispetto a quella di cui godono le altre pubbliche amministrazioni. Fa da contraltare ai suddetti poteri discrezionali il riconoscimento – ormai inequivoco e ripetutamente ribadito in sede processuale – di un obbligo motivazionale rafforzato.
Rileva sul punto T.A.R. Puglia – Sez. Bari, n. 108/2018, in cui si legge che il Comando investito della richiesta è chiamato, attraverso la motivazione del provvedimento che conclude la sequenza procedimentale, a formulare un vero e proprio “giudizio di bilanciamento tra le proprie necessità operative e tale legittima pretesa del ricorrente” (nello stesso senso, T.A.R. Lombardia – Brescia, ord. 27 febbraio 2019, n. 71). La motivazione dell’eventuale diniego, così, non potrà riferirsi genericamente ad “esigenze di servizio” od anche soltanto alla “carenza d’organico del Comando di appartenenza” (ragione peraltro di per sé non sufficiente secondo il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, sez. I, n. 206/2016). Dovrà piuttosto tenere conto della ricorrenza in concreto dei presupposti di cui all’art. 42-bis, ed in particolare “delle funzioni effettive del militare, dell’attuale impiego, delle possibilità di una sostituzione del dipendente senza pregiudizio per le esigenze organizzative del Comando” (T.A.R. Puglia – Bari, ord. n. 94/2019).
In conclusione ed in sintesi. Il disegno di legge 791.
Dalla sintetica disamina svolta si desume dunque, conclusivamente, che il ricongiungimento familiare è un istituto diretto alla tutela della maternità e della paternità, in modo conforme all’art. 29 Cost., e dunque radicato al massimo grado gerarchico delle fonti nel nostro ordinamento giuridico. Come tale, per effetto del richiamo generale di cui all’art. 1493 c.o.m., il suddetto ben può e deve trovare applicazione anche in ambito militare.
In questo specifico contesto, il ricongiungimento familiare presenta tratti caratteristici non certo con riguardo ai suoi presupposti (che restano quelli ordinari sopra indicati), quanto piuttosto in relazione alla maggiore discrezionalità che, in ragione dei peculiari compiti affidatile, è riconosciuta all’amministrazione militare da parte della giurisprudenza. Tale discrezionalità è tuttavia controbilanciata sia dalla necessaria soddisfazione del principio di trasparenza amministrativa, che si estrinseca nell’ampliamento (in tali casi) del possibile oggetto delle istanze di accesso meritevoli di accoglimento anche agli atti da cui si evinca la dotazione organica dei Comandi interessati; sia (e soprattutto) dal rafforzamento dell’obbligo di motivazione degli eventuali provvedimenti di diniego, chiamati a dare conto in maniera adeguata delle specifiche esigenze organizzative e di servizio che precludano se del caso all’interessato di vedere soddisfatta la propria istanza.
Ma le esigenze di trasparenza e di adeguatezza della motivazione sono davvero soddisfatte da quanto si è detto?
Molti ritengono di no. E probabilmente a ragion veduta. Troppo spesso, infatti, i giudizi in materia, al di là dei suddetti buoni propositi, si arrestano di fronte alla specificità dell’amministrazione interessata e si dimostrano assai inclini a concludere per la legittimità dei provvedimenti di rigetto adottati.
L’obiettivo di assicurare ai militari maggiore trasparenza, magari anche sottraendo in parte all’amministrazione le proprie prerogative discrezionali, ha mosso i promotori del disegno di legge 791, già in discussione in Senato lo scorso aprile proprio in tema di “Ricongiungimento del personale delle Forze Armate e di Polizia”. Le soluzioni prospettate mirano ad imporre ai Comandi di dare conto dei posti vacanti e delle piante organiche, nonché di formare delle graduatorie liberamente accessibili a tutti gli interessati, da stilarsi sulla base di criteri predeterminati e tramite punteggi che tengano conto, tra l’altro, dell’anzianità di servizio, del numero dei figli e dell’eventuale presenza di gravi patologie all’interno del nucleo familiare.
Di certo, se approvate, le nuove norme potrebbero offrire valide risposte ai problemi che caratterizzano l’applicazione del ricongiungimento familiare. Nel frattempo, però, è bene che si rafforzi comunque la consapevolezza della piena fruibilità – già oggi, pur con tutti i suddetti limiti – di tale istituto anche in ambito militare.