In caso di appalti pubblici, la mancata iscrizione delle riserve nei termini stabiliti dalla legge (o dal capitolato d’appalto) non impedisce affatto la proposizione da parte dell’appaltatore della domanda giudiziale volta alla risoluzione del contratto per inadempimento della p.a. appaltante.
Si ricorda sul punto che la disciplina delle riserve figurava dettata dagli artt. 190 e 191 del d.p.r. 207/2010, regolamento di attuazione del vecchio codice, d.lgs n. 163/2006. Tale regolamento è stato parzialmente abrogato a far data dal 19 aprile 2016, quanto è entrato in vigore il nuovo codice dei contratti pubblici, d.lgs n. 50/2016. Le disposizioni succitate in tema di riserve sono state invece abrogate successivamente dal d.m. n. 49/2018, che all’art. 9 dispone che “Il direttore dei lavori, per la gestione delle contestazioni su aspetti tecnici e delle riserve, si attiene alla relativa disciplina prevista dalla stazione appaltante e riportata nel capitolato d’appalto”, di fatto rinviando la regolamentazione della materia al singolo capitolato speciale d’appalto (quanto meno in attesa dell’approvazione del relativo capitolato tipo da parte dell’ANAC).
Ora, cosa succede se l’appaltatore non ha iscritto le riserve o comunque non l’ha fatto nei termini e nelle forme stabiliti dalle fonti appena citate? Di certo, sul piano sostanziale decadrà dalla possibilità di far valere i suddetti diritti, ma ciò si riverbera sulla possibilità di domandare giudizialmente la risoluzione del contratto (ed il conseguente risarcimento di tutti i danni patiti) per inadempimento della p.a.?
Assolutamente no, secondo la giurisprudenza ormai consolidata.
Si legge infatti che “In tema di appalto di opere pubbliche, la riserva, attenendo ad una pretesa economica di matrice contrattuale, presuppone l’esistenza di un contratto valido di cui si chiede l’esecuzione, mentre, ogni qualvolta si faccia questione di invalidità del contratto e dei modi della sua estinzione, come nel caso della risoluzione per inadempimento, le pretese derivanti dall’inadempimento della stazione appaltante non vanno valutate in relazione all’istituto delle riserve, ma seguono i principi di cui agli artt. 1453 e 1458 c.c.” (vedi Cass., Sez. I, n. 22275/2016; Cass., Sez. I, n. 19802/2016; Cass. Sez. I, n. 22036/2014; Cass., Sez. I, n. 19531/2014).
Tale orientamento è stato ribadito anche di recente da Cass., Sez. I, ord. 5 settembre 2018, n. 21656.