È passata quasi inosservata qualche mese fa (era la fine del 2018) la notizia dell’interesse manifestato dalla Germania per l’arruolamento di stranieri nei ranghi del proprio esercito.
Il Capo di Stato Maggiore Eberhard Zorn e il commissario parlamentare per le forze armate Hans-Peter Bartels hanno espresso con convinzione l’idea, rimarcando la necessità di “guardare in tutte le direzioni”, per soddisfare un vero e proprio “bisogno di personale (…) in un periodo di penuria di lavoratori qualificati”.
Si guarda, in particolare, ai cittadini europei dotati di formazione specialistica (medici, ingegneri ed anche informatici).
Ma qual è la situazione in cui versa il Bundeswehr oggi? E quali sono (e quali potrebbero essere) gli obiettivi tedeschi nel breve e nel lungo periodo? Per quello che più ci interessa, l’Italia potrebbe seguire l’esempio tedesco o dovrebbe difendersi dal possibile “furto di cervelli”?
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La situazione dell’esercito tedesco oggi
Non è certo un mistero che gli eserciti nazionali vivano oggi, almeno in Europa, una fase di crisi “vocazionale”: il passaggio al professionismo, per così dire, e l’abolizione della leva obbligatoria (ormai una costante nella stragrande maggioranza dei Paesi) hanno determinato la formazione di eserciti più specializzati, certo, ma anche molto meno numerosi e – quel che è più grave –, almeno ultimamente, dotati di scarsa attrattività sul mercato del lavoro.
Non fa eccezione a questa tendenza la situazione tedesca. Superato il servizio di leva nel 2011, il Bundeswehr è oggi ampiamente al di sotto delle duecentomila unità. Sorto dalle macerie della seconda guerra mondiale, riunificato nel 1990, l’esercito tedesco ha svolto un ruolo di primo piano nell’ambito della NATO nel corso della guerra fredda. Del resto, in caso di attacco da parte dell’U.R.S.S., le forze teutoniche avrebbero dovuto rappresentare l’avanguardia del blocco occidentale. Dotate per questo degli equipaggiamenti più evoluti, addestrate e coadiuvate dagli Stati Uniti – che in Germania vantano un gran quantità di basi militari –, le forze armate tedesche mai hanno dovuto confrontarsi in scenari di guerra convenzionali, agendo piuttosto nell’ombra, a sostegno dei servizi segreti alleati.
In questo contesto, la riduzione dei ranghi (oggi scesi a circa 182.000 uomini) e lo scarso appeal della divisa per i cittadini tedeschi (una costante in tutti gli Stati caratterizzati da un’economica forte) hanno portato a rilanciare una soluzione in realtà già prospettata nel recente passato in modo ricorrente (da ultimo, nel cosiddetto Libro Bianco del 2016). È innegabile, poi, che una spinta decisiva in questo senso sia venuta anche dall’invasione della Crimea da parte della Russia nel 2014 e dalla minaccia trumpiana di un progressivo disimpegno a stelle e strisce dal vecchio Continente, in assenza di maggiori contributi economici da parte degli alleati europei.
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Uno sguardo al futuro
È questo il contesto in cui si colloca l’opzione tedesca per l’apertura del proprio esercito agli europei con cittadinanza straniera.
La proposta si rivolgerebbe come detto inizialmente soltanto a personale qualificato, ma i ben informati riferiscono di una possibile estensione di questo progetto ben oltre tali ristretti confini, fino a comprendere anche “manodopera” meno specializzata. Berlino guarda essenzialmente agli immigrati in terra di Germania: stando alle stime, un bacino di ben oltre 600.000 persone tra i 18 ed i 40 anni, tra cui circa 250.000 polacchi, 185.000 italiani e 155.000 rumeni.
Sul piano strettamente giuridico, dovrebbe di certo provvedersi alla riforma del Soldatengesetz, la legge federale tedesca che regolamenta l’ordinamento e la disciplina del personale militare. Del resto, l’art. 37, che prevede e disciplina i requisiti fondamentali per l’arruolamento, nella sua versione attualmente in vigore stabilisce come condizione imprescindibile per l’ingresso nelle forze armate il possesso della cittadinanza tedesca ed il giuramento di fedeltà all’ordine costituzionale democratico.
Non un ostacolo insormontabile, senza dubbio. L’intento dichiarato, del resto, è quello di infoltire le fila dell’esercito di circa 20.000 unità nei prossimi 7 anni.
Detto questo quanto alle dichiarazioni ufficiali ed ai propositi di breve periodo, resta da vedere quali siano i reali obiettivi del Bundeswehr in una prospettiva di più ampio respiro.
È lecito domandarsi, in particolare, se la Germania miri semplicemente a creare una sorta di “legione straniera” all’interno delle sue truppe – sul modello colonialista già da tempo immemore sperimentato nel Regno Unito, in Francia, in Spagna e più di recente ed in ben altra declinazione rispolverato anche in Australia –, o se piuttosto non voglia dar vita ad un primo nucleo di esercito europeo sotto l’ala della propria aquila nera in campo giallo.
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La posizione italiana
La situazione delle forze armate tedesche è di certo emblematica e può essere presa ad esempio dello stato in cui versano gli eserciti nazionali ai giorni d’oggi. E l’Italia fon fa per nulla eccezione rispetto al quadro sopra delineato.
Del resto, la stessa idea tedesca di allargare le maglie dei requisiti di arruolamento nelle proprie forze armate, così da ricomprendervi anche altri cittadini europei, era stata proposta quasi vent’anni fa dall’allora Ministro della Difesa Antonio Martino.
In un’intervista al Daily Telegraph ripresa sulle pagine de La Repubblica del 21 febbraio 2002 – tra l’altro, l’articolo in questione è ancora disponibile online al seguente indirizzo: https://www.repubblica.it/online/cronaca/esercitostranieri/esercitostranieri/esercitostranieri.html –, probabilmente con lungimiranza, Martino affermava che “un giorno (…) potremmo essere costretti ad avere un esercito di stranieri”, prefigurando la costituzione di unità estere sul modello della Legione Straniera francese e dei Gurkha britannici.
Rispetto al disegno tedesco, di certo, solo un’idea puramente embrionale e meno sviluppata. Si guardava, in buona sostanza, alla popolazione immigrata (“perché non arruolare una brigata di albanesi?”, si domandava il Ministro), proponendo l’arruolamento come mezzo accelerato per il conseguimento della cittadinanza italiana. Del resto, il nostro Paese viveva nel 2002 quel momento di passaggio segnato dall’abbandono della leva obbligatoria (lo stesso Martino ne fu com’è noto il fautore e lo anticipò dal 2007 al 2005), che la Germania, come detto, si è trovata ad affrontare un decennio dopo.
A parità di contesto – almeno nazionale –, e fermo restando che entrambe le soluzioni sono rimaste, ad oggi, solo sulla carta, non può non notarsi che la prospettiva teutonica appare più mirata e, se si vuole, degna di attenzione, anche per i suoi possibili riflessi negativi.
È chiaro infatti che in caso di una sua attuazione i ranghi del Bundeswehr verrebbero rimpinguati dopo aver setacciato le università europee alla ricerca dei migliori profili, che verrebbero così annessi alle fila del vecchio avversario. Potrebbe avviarsi, insomma – anche in modo palese ed aperto –, un vero e proprio mercato di manodopera specializzata su larga scala tra i Paesi europei, che con ogni probabilità ci vedrebbe tra i maggiori contribuenti, data la buona formazione assicurata – checché se ne dica, rispetto alla media europea – dalle nostre università e considerate le scarse opportunità di ottenere un lavoro ben pagato in tempi rapidi, dopo la laurea, specie al Sud.
Conclusioni
Quanto si è detto in estrema sintesi suggerisce alcune considerazioni finali.
Sembra lecito chiedersi, in particolare, se la possibilità paventata a più riprese negli ultimi mesi dalla Germania costituisca un’eresia (rispetto ai tradizionali eserciti nazionali) o un’opportunità. Tolta dagli occhi la benda di un patriottismo idealista e forse eccessivamente romantico in cui anche chi scrive per larghi tratti si riconosce, di certo il dogma dell’esercito totalmente formato da cittadini autoctoni non è mai stato osservato rigorosamente (del resto, i secoli, se non i millenni, ci dicono di forze armate costituite anche, e talvolta soltanto, da mercenari), e se i valori nazionali di lealtà e fedeltà alla Repubblica devono senz’altro costituire il faro che deve guidare la formazione di qualsivoglia ordinamento militare, è innegabile che nell’epoca contemporanea l’apertura al personale straniero (specie qualificato) costituisca un’opportunità, e non una forma di blasfemia, per i moderni eserciti professionali.
L’esercito, oltre che di armamenti all’avanguardia ed efficienti, è fatto di uomini. Ed anzi, prima di tutto di uomini. E non si vede perché anche il nostro Paese non dovrebbe poter attingere alle migliori figure professionali straniere, mentre altri Stati, come la Germania, cercano di trarre beneficio dai nostri “cervelli in fuga”.
E se davvero la Germania stesse con ciò predisponendo un primo nucleo del futuro esercito europeo – peraltro, è bene precisarlo, con il beneplacito della Francia –, davvero potremmo ritenere auspicabile che la formazione di questa nuova forza armata transnazionale veda la luce sotto l’egida di altri Paesi e, per paradosso, grazie alla nostra forza-lavoro più qualificata, magari da noi stessi formata?
“Non copiare da nessuno, ma se devi copiare, copia dai migliori”, ha detto qualcuno una volta.
Mi sembra che, in questo caso, lo si possa fare. Ma, appunto, facciamolo bene.
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