Licenziamento disciplinare illegittimo: quali effetti?

Vediamo quali sono le conseguenze di un licenziamento disciplinare intimato in mancanza dei presupposti sostanziali ovvero del rispetto della procedura prevista dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo.

Occorre distinguere in proposito tra lavoratori assunti prima e dopo il Jobs Act (d.lgs n. 23/2015).

 

I) Rispetto ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato prima del giorno 7 marzo 2015 (secondo il d. lgs. 23 del 2015), secondo quanto stabilito dall’art.18 della legge n. 300 del 1970 dopo le modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012, valgono le regole che seguono:

A.1) se il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa viene intimato da un datore di lavoro che supera le soglie dimensionali previste dall’art. 18 della legge 300 del 1970 e non ricorrono i presupposti del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa per insussistenza del fatto contestato o perché il fatto rientra fra le condotte punibili con una sanzione conservativa, il giudice dispone la reintegrazione nel posto del lavoro (c.d. tutela reale attenuata): reintegrazione nel posto di lavoro e indennizzo commisurato alla retribuzione globale di fatto con il limite di 12 mensilità, oltre al versamento dei contributi previdenziali per tutto il periodo intercorrente tra il licenziamento e la reintegra;

A.2) nelle altre ipotesi il giudice applica la c.d. tutela obbligatoria standard: condanna del datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria in una misura compresa tra 12 e 24 mensilità della retribuzione globale di fatto, tenendo conto dell’anzianità del lavoratore, del numero dei dipendenti, della dimensione dell’attività economica e del comportamento e delle condizioni delle parti;

A.3) qualora non sia rispettata la procedura di cui all’art. 7 della legge 300 del 1970 sopra descritta, il giudice dichiara il licenziamento inefficace e applica la c.d. tutela obbligatoria ridotta. Condannerà quindi il datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria tra 6 e 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, considerando la gravità della violazione.

B.1) nel caso in cui il datore di lavoro impieghi un numero di lavoratori non superiore alle quindici unità, si applical’art. 8 della legge 604/1966, e dunque il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro a riassumere il dipendente entro il termine di tre giorni, oppure, in mancanza, a versargli un risarcimento tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità (considerando il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’impresa, dell’anzianità di servizio del lavoratore, nonché il comportamento e la condizione delle parti).

 

II) Rispetto ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 trovano applicazione le tutele previste dal d. lgs. 23 del 2015.

Il d.lgs. 23 del 2015 conserva la distinzione tra lavoratori assunti presso imprese che superano le soglie dimensionali dell’art. 18 della legge 300 del 1970 e lavoratori assunti presso datori di lavoro che non raggiungono dette soglie.

A.1) Per quanto riguarda i dipendenti di imprese di maggiori dimensioni, la nuova disciplina prevede che in caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa il giudice ordina la reintegrazione del lavoratore solo allorchésia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (art. 3, co. 2).

Il datore di lavoro è inoltre condannato al versamento dei contributi previdenziali e assistenzialie il dipendente ha diritto di percepire un’indennità risarcitoriacommisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto e corrispondente al periodo che va dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione.

Da tale indennità va dedotto il c.d.aliunde perceptum, come anche le somme che il lavoratore avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro.

In ogni caso l’indennità non può superare le 12 mensilità.

A.2.) Negli altri casi il rapporto si estingue comunque e al lavoratore è dovuta unicamente una indennità che, in seguito alla modifica introdotta dal c.d. decreto dignità, oscilla tra le 6 e le 36 mensilità (da 2 a 12, se si tratta di violazione procedimentale).

L’art. 3, co. 1, del decreto stabilisce che, allorché il giudice accerti l’illegittimità del licenziamento, questi dichiara l’estinzione del rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a 2 mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio (la base di calcolo è costituita, anche in questo caso, dall’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto).

In ogni caso, l’indennità non potrà essere inferiore a 6 mensilità, né potrà superare le 36 mensilità.

A.3.) Al lavoratore spetta un mero indennizzo economico anche nell’ipotesi di licenziamento illegittimo perviolazione della procedura prescritta dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori. In questo caso, però, l’indennità è dimezzata: è infatti a 1 mensilità per ogni anno di servizio, con un limite minimo di 2 mensilità e un limite massimo pari a 12 mensilità.

B.1.) Rispetto ai datori di lavoro che non superano i predetti requisiti dimensionali, l’art. 9 del decreto legislativo 23/2015 stabilisce che allorché il giudice accerti l’illegittimità del provvedimento espulsivo, il lavoratore avrà diritto esclusivamente ad un indennizzo economico, non soggetto a contribuzione previdenziale, di importo pari a 1 mensilità per ogni anno di servizio; in ogni caso l’indennizzo non può essere inferiore a 3 mensilità, né può superare le 6 mensilità.

B.2.) In caso di licenziamento illegittimo per violazione della procedura prevista dall’art. 7 della Legge 300 del 1970, al lavoratore spetterà un’indennità (non assoggettata a contribuzione previdenziale) pari a mezza mensilità per ogni anno di servizio, con un limite minimo di 1 mensilità e un limite massimo di 6 mensilità.

Si osserva, inoltre, che l’art. 6 del d. lgs. 23 del 2015 ha introdotto una nuova procedura conciliativa, stabilendo che in caso di licenziamento il datore di lavoro, al fine di evitare il giudizio, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (ovvero sessanta giorni), può convocare il lavoratore presso una delle sedi conciliative indicate dal quarto comma dell’art. 2113 c.c. e dall’art. 76 del decreto legislativo 276 del 2003 e offrirgli un assegno circolare di importo pari a 1 mensilità per ogni anno di servizio, e comunque non inferiore a 3 mensilità e non superiore a 27 mensilità (anche in questo caso l’ammontare dell’indennità è stato aumentato dal cd. decreto dignità).

Tale indennizzo non costituisce reddito imponibile per il lavoratore e non è assoggettato a contribuzione previdenziale.

L’accettazione dell’assegno da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e larinuncia all’impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.

Ai sensi dell’art. 9 del decreto, la procedura conciliativa si applica anche ai lavoratori assunti presso datori di lavoro che non raggiungono le soglie dimensionali fissate dall’art. 18 della legge 300/1970; in questo caso, tuttavia, l’importo dell’assegno offerto al lavoratore è dimezzato e non può in ogni caso superare le 6 mensilità.

Vi è infine da chiedersi quando un inadempimento del lavoratore costituisce un fatto così grave da giustificare il licenziamento.

Orbene il datore di lavoro e, in seconda battuta, il giudice, dovranno considerare le previsioni della contrattazione collettiva, che generalmente contiene l’indicazionepuntuali dei fatti e dei comportamenti che possono giustificare il licenziamento.

La giurisprudenza, però, ritiene che si possa prescindere dalle indicazioni contenute nel contratto collettivo di riferimento, a fronte di comportamenti la cui gravità sia apprezzabile secondo la coscienza sociale.

E’ in ogni caso salva la valutazione giudiziale (da condurre caso per caso) sulla proporzionalità tra l’addebito e la sanzione.

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avvocato diritto del lavoro Firenze

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