Pensioni nel pubblico impiego: nessuna decadenza triennale per l’azione giudiziale

A seguito della riforma operata dall’art. 38 del d.p.r. n. 98/2011 all’art. 47 del d.p.r. n. 639/1970, con l’aggiunta di un nuovo comma 6 in novella alla suddetta disposizione, si è disposto che “le decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”.

In altri termini, l’interessato decadrebbe dal diritto di adire la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti territorialmente competente, una volta decorsi tre anni dal pensionamento, vedendosi così preclusa la possibilità di ottenere il ricalcolo della pensione in caso di errori (anche marchiani) nella sua quantificazione.

L’INPS ha costantemente sostenuto in questi anni che tale norma troverebbe applicazione anche al pubblico impiego.

Tale opinione è tuttavia da ritenersi errata.

La disciplina applicabile alla previdenza pubblica fa riferimento infatti non al d.p.r. n. 639/1970, ma al d.p.r. n. 1092/1973, in cui non sono previste norme che sottopongano a termini di decadenza l’esercizio dell’azione giudiziaria.

Pertanto, i pubblici dipendenti (inclusi quelli del comparto sicurezza e difesa) potranno proporre ricorso per il ricalcolo della pensione o del t.f.s. senza incorrere nella suddetta limitazione temporale, salva soltanto la prescrizione quinquennale dei ratei pensionistici arretrati.

Tale indirizzo interpretativo è stato di recente fatto proprio dai Tribunali del Lavoro di Firenze e di Milano, nonché dalle Sezioni Giurisdizionali della Corte dei Conti del Lazio e del Trentino Alto Adige (in riferimento a quest’ultima, ad esempio, può citarsi la sentenza 31 ottobre 2017, n. 44).

 

avvocato pensioni pubblico impiego

 

 

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