Con la sentenza n. 496/2023, il TAR per la Sardegna ha accolto il ricorso proposto da una nostra assistita in materia di detenzione e porto d’armi.
I fatti
Con provvedimenti del mese di marzo del 2022, il Prefetto e la Questura di Sassari avevano provveduto alla revoca dei titoli di detenzione e porto d’armi del compagno convivente della nostra assistita.
Circa sei mesi dopo, le stesse Amministrazioni avevano quindi dato luogo ad analoghi provvedimenti nei confronti della nostra cliente, motivati sul solo presupposto della convivenza con il compagno, come detto destinatario delle misure di cui sopra.
La motivazione della sentenza
Il TAR per la Sardegna, accogliendo in pieno la nostra tesi difensiva, ha ritenuto tuttavia che i suddetti provvedimenti siano del tutto illegittimi, tra l’altro perché:
- tra la data dei provvedimenti emessi nei confronti del compagno, risalenti a marzo 2022, e i provvedimenti a carico della ricorrente, del settembre 2022, sono trascorsi molti mesi, sicché come eccepito dalla ricorrente, l’Amministrazione avrebbe dovuto inviare all’interessata l’avviso ex art. 7 della Legge n. 241 del 1990, non ravvisandosi profili di urgenza tali da giustificare l’omissione, dato il lungo tempo trascorso;
- le armi rinvenute nell’ambito del controllo di Polizia effettuato nel febbraio del 2022, risultavano regolarmente denunciate e, in ogni caso, dopo l’iniziale sequestro, il Tribunale della Libertà di Sassari ne ha disposto il dissequestro con ordinanza (…), ritenendo insussistente il fumus commissi delicti, avendo gli indagati “sufficientemente adempiuto l’obbligo di diligenza nella custodia delle armi, e che per questo non emergano pregnanti gravi indizi di colpevolezza del reato per cui si procede, non potendosi sostenere che la mera promiscuità di un certo numero di armi legittimamente detenute, in un ambiente familiare composto da soggetti autorizzati, all’interno di numerosi armadietti metallici, possa essere considerato elemento tale da poter fondare il fumus del reato considerato”;
- la violazione del doveroso contraddittorio nel caso in esame risulta ancora più evidente se si considera che la ricorrente è fondatrice e vice-Presidente dell’Associazione Sportiva Dilettantistica (…), presso la quale opera in qualità di istruttrice e responsabile delle linee di tiro, sicché se coinvolta nel procedimento avrebbe potuto dichiarare la propria disponibilità, manifestata infatti in giudizio, a custodire se del caso le armi e munizioni in suo possesso nella sede dell’Associazione, e cioè in luogo diverso da quello dove vive col compagno;
- Peraltro, sotto tale profilo, i provvedimenti impugnati risultano illegittimi anche per violazione del principio di proporzionalità, dovendo l’Amministrazione scegliere, tra le più opzioni in grado di soddisfare comunque l’interesse pubblico prevalente, quella meno pregiudizievole per il privato, a maggior ragione nel caso di provvedimenti che si fondano su comportamenti riferibili non al destinatario dell’atto, bensì a terzi, come nel caso in esame.
Riscontrati dunque tutti i suddetti vizi, il Giudice adito ha accolto il ricorso e annullato tutti gli atti impugnati.
Se ne ricava dunque che:
- il fatto in sé della coabitazione con il destinatario di misure restrittive in materia di armi non è di per sé sufficiente a giustificare l’adozione di provvedimenti dello stesso tenore nei confronti del convivente, soprattutto in difetto di ragioni che specificatamente lo riguardino;
- in difetto di urgenza, la comunicazione di avvio del procedimento deve essere data anche in materia di procedimenti relativi alle armi, nel rispetto del principio partecipativo e del contraddittorio;
- l’Amministrazione deve sempre agire secondo il principio di proporzionalità, evitando di pregiudicare gli interessi privati coinvolti dalla sua azione in misura maggiore di quanto strettamente necessario al perseguimento dell’interesse pubblico: pertanto, in fatto di armi, se l’interessato dimostra di poterle custodire in altro luogo sicuro, non v’è ragione perché si proceda al sequestro.
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